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notturno | 399 |
M’abitava già il dèmone lirico che tutto m’esalta e trasfigura?
Si svegliava già in me il senso magico della vita?
Come Aquilino m’annitriva sommesso, così io gli parlavo sottovoce. Come egli m’intendeva, così io l’intendevo, contento di tenere i miei due piedi nella paglia a paro co’ suoi quattro zoccoli.
Mi prendeva dalla palma della mano i pezzi di pane, gli spicchi di mela, i tocchetti di zucchero con una leggerezza accorta che era come il solletico e mi faceva ridere talvolta risa convulse e soffocate o sguittire senza ritegno. Ma avevo soggezione dei due grossi cavalli da tiro che facevano sonare di continuo le palle di legno attaccate alle corde della capezza; e mi studiavo di non lasciarmi scorgere.
E quel timore e quella cautela e quell’intendimento a poco a poco