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foderata di panno blu, con le tendine di seta ai vetri, con le maniglie d’argento agli sportelli. C’era un calesse col mantice e una cesta a due ruote. E c’erano i finimenti da tiro appesi, che non mi stancavo mai di rimirare: collari, pettorali, groppiere, cinghie, tirelle, redini, fibbie ciappe anelli sempre lustri, e le lunghe fruste della mia bramosia.

Quel bambino chinato sul pavimento a raccogliere nell’ombra quel pane e quei frutti che s’è tolti di bocca pel suo amore, quel bambino già avido di vita singolare e di comunioni misteriose, ammaliato da quel nitrito come da una voce d’incanto, illuminato dal suo medesimo sorriso come da una lampada di sotterra, lasciatemelo qui sotto la mano. Lasciatemi riconoscere in quel suo atto e in quel suo piacere un’imagine di felicità fugace che m’è propria e che di tratto in tratto mi rilampeggia anche su questo letto di pena.