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notturno 383

volgendo il suo gran ciuffo verso la staffa e alzava all’altezza della staffa il piè di dietro cercando di togliersi il fastidio, con la movenza del levriere che si gratta. E aveva tanta grazia infantile in quella difesa che io non sapevo tenermi dal ripetere il gioco.

Potessi riudire il suo nitrito e sentirmi a miracolo rifluire quel vigore flessibile in questo misero corpo stremato!

Quando lo impastoiavo con le belle pastoie intrecciate di rosso di blu e d’argento, alla porta d’un qualche fondaco di tappeti, metteva un nitrito in un certo tono minore per dirmi che si annoiava e ch’era tempo di rimontare in sella. Ma come dirò il clangore argentino del suo nitrito quando tornavamo verso il Cairo dal deserto con l’ultimo galoppo e scorgevamo di lontano nella sera di perla le luminarie del beiram?