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notturno 381

le mie ossa come quello di uno scheletro abbandonato su la sabbia del deserto.

Pensavo a quelle piccole piante del deserto d’Arabia che avevano bevuta la rugiada della notte e fiorivano nell’alba brevemente, prima che le ferisse il sole uccisore, quando toglievo le pastoie al mio cavallo El-Nar che ne cimava qualcuna con le sue labbra delicate.

Ora, ecco, ho la voluttà breve di quelle piante, il gaudio antelucano.

Ho bevuto. M’è concesso di bere.

L’acqua mi penetra per tutte le fibre, m’invade tutto il corpo come la nuova linfa invade l’albero intristito.

Sono irrigato.

La freschezza discende alle radici.

Ogni cosa di me rivive nel profondo.

Sollevo la testa come se il collo fosse uno stelo ravvivato.

Ma una mano dolce e tirannica me la riabbassa.