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378 notturno

V’era in fondo un’acqua malsana e il coperchio di tavola era marcio, cadeva in pezzi. L’autorità pubblica gli ha turato la bocca con la calce. Ora il campiello non respira più. Il suo silenzio non ha le labbra socchiuse ma suggellate. Di qui lo sento soffrire.

La Sirenetta mi riconduce un’imagine dell’Estremo Oriente, cara ai miei morti.

Una donna esce dalla casa mattutina per attingere acqua, e vede che un vilucchio prestamente nella notte s’è attorcigliato alla corda umida della secchia ed è fiorito. Rientra nella casa e dice: «Il vilucchio ha preso la corda. Chi mi dà acqua?»

Io sono là, in un canto, seduto sopra una stola, quando ella rientra.

Odo il rumore che fa l’orciuolo vuoto posato sul pavimento.

Poi la voce delicata della fante, ancóra china nell’atto, mi rinfresca la gola come acqua attinta nell’ombra più misteriosa.