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notturno 371

il disgusto, lo scoramento, l’attesa, tutto ha la qualità di questa fasciatura umidiccia che s’intepidisce del mio tepore.

La vita terribile dell’occhio è spenta. Il demone del fuoco non abita più la coppa retinica. Il mio cervello non vede se non la bolla azzurrigna prodotta dall’ago, quale me la mostrò anche ieri il dottore nel suo specchietto rotondo.

La bolla è rigonfia intorno all’iride scolorita ove si dilata la pupilla insensibile. Un filo di sangue e di lacrime cola dalla commessura delle palpebre affloscite.

L’anima vorrebbe soffiare sul male come si soffia sopra un tizzo per riaccenderlo.

Rimpiango la cecità fiammeggiante e sfavillante.

Rivolgo la mia attenzione al mio corpo giacente. Lo percorro dalla nuca ai piedi, per cercarvi qualche succo di vita che vi sia rimasto, qual-