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notturno | 367 |
in vario modo, con lentezza o con violenza, secondo gli accenti.
Ma v’è una voce, la più acuta e la più spietata, che mi sega le costole a una a una e mi scarpella lo sterno.
Un’altra, quando s’introduce nell’orribile concerto, sembra uno strumento affilato che ogni volta intraprenda la «enucleazione» dell’occhio e poi la tralasci.
Quando questo supplizio avrà fine?
Ecco che odo il quintetto funebre ridere d’un riso chioccio, quasi all’unisono.
Il mio occhio triste è là, sopra il tavolino, accanto a un posacenere, come uno di quei pezzi anatomici arteficiati e dipinti che da anni il bidello spolvera e il professore maneggia facendo la lezione agli studenti svogliati.
Un raggio furtivo di sole traversa la fiala gialla dell’atropina, rischiara il cotone avvolto come un enorme