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366 notturno


È una giornata di vento.

Odo le gondole sbattere contro il traghetto e cigolare. Odo il lungo ululato del canale. Odo le voci rotte e rapite in lembi.

Il soffio penetra anche nella stanza chiusa. L’uscio geme di continuo.

«Vengo. Chi mi chiama?»


Nella piccola stanza dove ieri il mio quintetto di guerra sonava le vecchie e nuove musiche, oggi disputa un quintetto di medici.

Sono cinque, come le dita della mano che brancola.

Odo le loro voci attraverso l’uscio ove il mio destino origlia ansando.

Non ho mai sofferto della voce umana come in questa ora. La disputa confusa è come uno strumento di tortura che operi a distanza. Il mio corpo vivo è contorto e trafitto