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con un volto meno contraffatto, col volto che le vidi prima dell’esilio.

Mi porta lembi della vita lontana così vividi che posso palparli. Mi conduce talora alcuno dei nostri familiari.

M’ha condotto Rafaele, il fattore che sapeva imitare i versi degli uccelli di passo e con l’osso con la canna con la pelle costruire ogni sorta di richiami.

Rafaele mi porta una quaglia viva, e il ricordo della compassione che mi facevano le quaglie imprigionate in certe gabbie basse di stecchi contro cui si spellavano il capo e a forza di urti se lo consumavano fino all’osso.

Riodo quell’agitazione incessante. Rivedo quei piccoli cranii nudi, quei becchi sanguinanti. Le quattro pareti e le quattro assi si riempiono di quella medesima tristezza che allora per me riempiva tutta la nostra casa vecchia e mi dava certe improvvise voglie di fuggire o di uccidermi.