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notturno 333

tura «humele, pretiosa et casta» del Cantico.

Con le sue lunghe mani argentee ella cerca nella mia magrezza le mie vene, le districa, le separa, le allunga, le conduce nel senso della terra e della pace.

Mi sembra di sentirne una discendere dall’òmero per il braccio con una limpidità virginale e fluire di là dalle dita, allungandosi di tra le dita come un arco di cristallo per sonare uno strumento fatto con le corde della pioggia primaverile.

Odo la pioggia che ricomincia, dopo la pausa.

Il mio udito galleggia su la sonnolenza, come quelle foglie natanti che hanno la forma d’un’orecchia intenta.

La melodia degli uccelli e degli spiriti va mancando.

Sento a un tratto la bocca riseccarsi. La làmina d’acciaio riveste la mia lingua e il mio palato.