Olocausto, la fresca vittima
biancovestita e altocinta
tende verso il tuo splendore
la mano colma di rugiada
come il calice solitario del vilucchio
che l’alba riempie fino all’orlo.
Olocausto, Olocausto,
ti fu sottratto il cuor dell’uomo,
dove il sangue lottava bogliente
come nella pensile argilla
la rèsina d’oro gemuta.
Ma la mano del rapitore
fu arsa fino all’osso del polso;
e fu espiato l’ardire
e testimoniato il futuro.
Olocausto, Olocausto,
non spegnere nella tua cenere
l’astro dell’immortalità,
ch’era favilla in vetta ai precordii.