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notturno 319


Poi strisciano su per le scaglie.

Sembra che pàlpino, sembra che cérchino dove meglio possano mordere.

Si appiccano là dove un ramo fu potato, là dov’è una ferita resinosa, una piaga aromatica; e persistono.

In una pausa del vento, si abbassano.

Ma quella che ha addentato il tronco nel punto vivo, quella non lascia. Resta sola, sospesa, intenta a mordere, intenta a divorare, distaccata dalle altre, sola con la sua fame e con la sua furia, ostinatissima.

Penso, non so perché, a quei combattimenti navali, a quegli abbordaggi e arrembaggi disperati, quando i pugni e le mascelle si afferrano ai bordi delle navi, e le scuri avverse troncano i polsi, mozzano le collòttole; e le mani terribili restano tuttavia abbrancate al legno, le dentature restano conficcate nel legno, mentre i corpi piombano giù e si sommergono.

Così le branche rosse della fiamma,