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notturno 289

conobbi nel piccolo specchio rotondo del dottore.

L’infermiera sopraggiunge. La volontà di rivolta mi si fiacca sotto le mani pietose che troppo tremano. Tutta la forza mi si scioglie in sudore perfido. Il sudore le lacrime e l’umidità della compressa ammolliscono il mio cruccio, afflosciscono la mia tristezza e tutto me. Non chiedo più nulla, non valgo più nulla.

Dove sono le forbici della feroce pazienza? Lassù, lassù, in una lontananza insuperabile, sotto la tenda polare, fra i resti del povero cane scoiato.



L’Ammiraglio mi parla dell’Isola Morosina come d’una grande nave da battaglia ancorata davanti alla costa nemica. Egli sa quel che io feci, coi marinai, nell’ottobre del 1915.