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286 | notturno |
s’illuminano come una aspettazione necessaria alla pienezza del compimento.
Rivivo in un attimo il compatto dolore dell’Ultima canzone. Riodo latrare nel sogno della duna oceanica i cani sardeschi, i mastini di Fonni, i veltri del Monte Spada. Rivedo la «schiera quadrata», che ha seppellito a Tobras i suoi morti, salire senza di me su pel sabbione impervio, senza di me andare verso «l’alba certa», andare incontro al certo destino senza colui che aveva creduto «essere il messo della nova vita e della nova gloria il primo nato».
Tutto è sogno.
Come e dove ho io raggiunto la schiera quadrata, e me ne son fatto capo, e irresistibilmente l’ho condotta «all’acquisto supremo»?
Ed è oggi dietro di me o è davanti a me l’ombra lunga dall’Eroe primogenito?