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notturno 243


Mi ricorda il velo funebre che ondeggiava nel mio occhio perduto e che non mi lasciava vedere nello specchio se non la sommità pallida della fronte calva.

Le ore passano. La musica è come il sogno del silenzio.

Non dormo, eppure la vita s’abbassa in me a poco a poco come la marea. Il polso è fievole. La mano sul petto non sente il cuore.

La musica si allontana e poi ritorna cangiando di colore come un flutto sotto un crepuscolo mutevole.

Il verde il violetto e l’azzurro cupo sono i colori di questa notte.

A un tratto vedo le stelle, le stelle dell’Equinozio larghe come i loro riflessi nell’acqua.

Poi sento l’alba contro il davanzale, appoggiata al davanzale coi due gomiti, con gli occhi allungati fin dove i capelli s’appiccano alle tempie.

Oso volgere un poco verso lei la