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236 | notturno |
Mi tendo fino all’estremità dell’orizzonte dove l’aria deve essere già rischiarata dall’alba, per prenderne un sorso.
D’un tratto ho un corpo immenso.
La mia oscurità non è limitata dall’oscurità ma è tutto il buio.
Le quattro assi sono cadute. Tutto il mio corpo sembra aerarsi.
Il cerchio luminoso si riforma e passa. Saturno ha perduto uno dei suoi anelli che viaggia sospeso nella notte.
È un’aureola che cerca un capo da cingere.
Odo l’infermiera che dice, presso la finestra: «Basta così?» — «No. Ancóra».
Ella dice: «Che notte chiara! La luna è alta. Si potrebbe leggere!»
Allora perdo la mia immensità. Ridivento un corpo nero fra quattro assi.
Non ho i confini della notte ma quelli della mia miseria.
Non sento più il sapore dell’aria