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notturno 233

rudi: il fumo risoffiato dal vento e Isnayat-Khan cantore indiano.

Il fumo di tizzo uccideva i profumi perfidi. La bocca dischiusa d’Isnayat fece tacere le civette e gli assioli.

Il liocorno cercò invano un grembo di donzella vergine, dove potesse riposare la testa altiera e addormentarsi nella dolcezza dell’umiliamento. Ma parve contribuire alla perfezione del silenzio col suo mistero favoloso.

Il cantore era seduto con pacatezza, come se quel fumo gli venisse dai roghi del fiume padre e non gli potesse offendere la voce. Portava una tunica d’un color giallo rosato e una gran collana d’ambra. Teneva stese su le ginocchia le mani brune. Una corta barba nera compiva l’ovale del suo volto bronzino. Il bianco degli occhi era più puro che un guscio d’uovo di tortora. Ed egli cantava sempre a bocca aperta, modulando le note nella gola.

Conosceva più di cinquecento modi.