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notturno 195


Sono come il suo prigioniero atterrito. Imprigionata in lei la mia anima mi fissa dalla profondità di quelle ignote pupille.

E l’umile donna della terra nomina il mio nome, ripete il mio nome a quell’orecchio sempre più inclinato.

E allora le due mani si levano di su le ginocchia. Tutta la vita s’arresta, perde colore, non è più niente.

C’è dunque qualcosa che può farmi più male di quello sguardo senza lume?

C’è la bocca, che non ha più bellezza, che non ha più dolcezza, che non ha più forma umana, che non ha più suono umano.

Le due palme s’abbattono sul mio capo pesanti come se fossero esangui ed esanimi. E la bocca vuol dire il mio nome, ma non ha se non un mugolìo fioco.

E io son vuoto anche del mio terrore. Non ho più senso. Conosco una morte che forse nessun al-