Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
notturno | 167 |
Balzava col mio coraggio, regnava con me tutta l’altezza, si chinava con me su la rovina e l’incendio, si gonfiava con le vene del mio collo nel mio grido.
Gridava: «Me! Me! Eccomi!» Era la voce della mia stessa offerta. Si offriva alle ferite, si tendeva alla mutilazione e alla morte.
S’oscurava nel mio sonno stracco, s’appesantiva su la terra dura, s’intormentiva nel mio braccio piegato sotto il mio capo, pazientava la mia notte.
Non la guardavo, non la chiamavo. Il suo sguardo era il mio sguardo, il suo nome era il mio nome. Arma non v’era in tutta la violenza del mondo, che potesse recidere il nodo materno.
Conobbe con me la trincea, conobbe con me la tana e la fossa, conobbe la servitù del fango e l’ebrezza del cielo, l’aroma del rogo votivo e l’ora ineffabile quando l’anima e l’ala