Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
notturno | 149 |
stior humilior, Tantummodo fulcimentum» .
Il croscio andava sminuendo. Ci pareva giungesse fino a noi e in noi si spegnesse come l’armonia che fa l’eco interna del Battistero. Il prato deserto aveva non so che derelitta dolcezza, lungh’esse le mura della vecchia città di parte. Il Camposanto dell’arcivescovo Ubaldo era chiuso e raccolto intorno alle sue cinquantatre stive di terra del Calvario.
Allora scendemmo dalla soglia liscia. Abbandonammo il bronzo e il marmo per l’erba. Imbruniva. Eravamo soli. E la vita ci conduceva per la mano indulgentemente.
Si diceva che dalle gore e dai canali, di là dal Camposanto, si levasse verso sera una febbre tacita e venisse a vagare pel prato pio. Ma non sentimmo se non il brivido della primavera molliccia.
Camminavamo tra il muro del Camposanto e il fianco del Duomo,