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Sento con l’ultima falange del mignolo destro l’orlo di sotto e me ne servo come d’una guida per conservare la dirittura.

I gomiti sono fermi contro i miei fianchi. Cerco di dare al movimento delle mani una estrema leggerezza in modo che il loro giuoco non oltrepassi l’articolazione del polso, che nessun tremito si trasmetta al capo fasciato.

Sento in tutta la mia attitudine la rigidità di uno scriba egizio scolpito nel basalte.

La stanza è muta d’ogni luce. Scrivo nell’oscurità. Traccio i miei segni nella notte che è solida contro l’una e l’altra coscia come un’asse inchiodata.

Imparo un’arte nuova.

Quando la dura sentenza del medico mi rovesciò nel buio, m’assegnò nel buio lo stretto spazio che il mio corpo occuperà nel sepolcro, quando il vento dell’azione si fred-