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notturno 145

tura. Odore di erba più che di fiore, di frutto più che di fiore.

Meglio mi piace la zàgara, nome e cosa. È più tenue, più rara: non nuziale ma virginea. La cerco ancóra dentro la fronda. Mi sbianca il fuoco dell’occhio. È dura e bianca come la sclera.

Mi ricordo dei grandi boschi d’aranci a Villacidro, nell’isola dei Sardi. Ero una bestia pieghevole. Avevo due caviglie sottili. Mi scalzavo per camminare coi miei piedi giovani sul fiore nevoso che giuncava il terreno.

Mi ricordo di un aranceto murato, a Massa, verso la riviera d’Amalfi, se non m’inganna la memoria. Ero mal guarito d’un filtro malvagio. Ero sbigottito come se fossi penetrato in un labirinto inimaginabile. I tronchi parevano scolpiti nella pietra delle grotte segrete. Il fiore era come la spuma da cui nasce la carne immor-