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notturno 95

il feretro ammantato. Porta seco il soffio della guerra, l’odore verde del basso Adriatico, qualcosa del ponte d’una torpediniera in caccia, qualcosa della scia d’un silurò ben diretto. È un uomo.

Non ho voglia di dire una parola. Ho i denti serrati. Passo davanti a uno stuolo di ufficiali. Vado a inginocchiarmi solo, a fianco della cassa, presso il luogo dove il suo capo riposa.

Il suo capo, invisibile, è discosto da me due palmi. È là. Lo vedo a traverso la coltre e il legno. Iersera era infoscato, fumoso, gonfio. Un’altra notte è passata. È il terzo giorno. Lo sfacelo continua.

Ho nelle ossa un freddo orribile. Toccare la morte, imprimersi nella morte, avendo un cuore vivo!

Eppure siamo anche una volta soli, noi due, soli come nella carlinga in volo. Tutti gli altri mi sembrano estranei, anche il fratello. Siamo soli.

Il prete dice la messa funebre. Dal