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notturno 89

datura, rischiarandosi col moccolo che quasi gli brucia le unghie. Trova ancora qualche fallo. E la lampada ruggente, ch’era posata in un angolo, è ripresa. La fiamma è dardeggiata di nuovo; tutta la commettitura è sfregata, lisciata.

Una voce dice, squallida, senza umanità: «La segatura».

Mi volto. È un medico dell’Ospedale, un medico della Marina, piccolo, canuto, diligente, preciso. Ripete: «Ora la segatura».

Non comprendo, e il mio sguardo osserva tutto il pavimento.

Vedo, poco lontano dai miei piedi, qualcosa di bianco che sembra ai miei occhi stanchi foglie di rose, delle rose di Renata.

Mi chino un poco. Sono falde di cotone.

Più in là, nel mezzo della stanza, rivedo quella macchia oscura che avevo scoperta sotto il lettuccio.

È sangue, è sangue e siero colati a