veggendo per quel bruno intrico. “I nèssili
miei lini e i piombi e i sugheri
t’appenderò nel tempio, o dio propizio„ 50in cor disse il grato animo.
E allora vidi i pesci più risplendere,
vidi le pinne battere
e le branchie alitare e per le scaglie
lampi di forza correre. 55E, come quando il nume di Diòniso
invade le Bassaridi
e si disfrena giù pe’ monti il Tìaso,
la muta gente parvemi
infuriare, cedere a un’incognita 60virtù, di sacra fervere
insania. “Qual prodigio è questo? Ahi misero
me!„ gridai per grandissimo
spavento; ché la preda mia fuggivasi
a gara con vipèrea 65rapidità, balzando e dileguandosi.
“Me misero! Un dio fecemi
questo? o nell’erba è la possanza?„ Attonito
mi rimasi. Il silenzio
era divino nella solitudine. 70Era già fatto il vespero,
ma lungamente i cieli ultimi ardevano.
Udir parvemi bùccina