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Atto II. Scena VI | 109 |
- ché a pena di talione
- obbligarti non vuole. Cavato
- più che un’oncia di sangue gli fu
- sul campo di Mispa; e tu sai
- la cagion della sciarra e la fine.
- Che tu gli renda oncia per oncia
- non vuole, se bene gli brucia
- la cicatrice nel capo.
- enna nera e fronda d’ulivo,
- olio forte e filiggine di camino,
- mane e sera, sera e mane
- per la resipola cane!
Riderà d’un riso breve e crudo.
- E, dov’era colcato, sentiva
- piangere e lagnare le donne
- non per lui ma sì pel pastore
- magato da una magalda
- su la montagna distante.
- Certo, femmina, male scegliesti.
- Ma s’è rifatto il mio sangue,
- e troppe altre parole non dico,
- ché la lingua risecca m’è già;
- ed è sempre l’istessa cagione.
- Or tu verrai meco senz’altre
- parole, figlia di Iorio.
- Ho quaggiù l’asina e il basto
- e anco una corda di canapa
- e una di sparto, Dio grazia.