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PAGINE DEL DIARIO 11

del sangue aggrumato. Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un’erba trista di carcere, mal nata tra selce e selce. E il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l’esca, come una sostanza che pigli fuoco subito.

« Marinai, miei compagni, questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una tarantella d’allegrezza. Ma certo avete indovinato, alla cera del nostro Comandante, che questa volta egli getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. »