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116 | L’ARMATA D’ITALIA |
Arsenali marittimi o sui marinai torpedinieri o su la leva di mare. Il mio nome, per lo piú, suona nelli orecchi della gente legato a una elegia o a un sonetto. Io faccio professione di poeta lirico e di novellatore, al conspetto del popolo italiano; e, fino a ieri, le mie imprese di guerra erano contro i cattivi rimatori e contro i cattivi dipintori.
Naturalmente, a formare la mia autorità di uomo di mare non bastava né un igneo libro di versi marini né la favolosa navigazione che io feci nella scorsa estate, sopra una nave d’una tonnellata, pel magnifico Adriatico. Quella navigazione, è vero, fu anche molto letteraria. Io era, in quei giorni, invasato dagli spiriti del divino Annibale Caro; e, stando seduto su la poppa a guisa di papasso," piacevami infondere il giovial nettare di quella prosa nel selvatico cuore del nostromo Ippolito Santilozzo. Il quale, arso e chiomato come un barbaro,