Pagina:D'Annunzio - L'Isottèo-La Chimera, Milano, Treves, 1906.djvu/82



15Le gentildonne, che fan gaia corte
a te con gran sollazzo, in su’ minori
legni, rapidamente
seguon l’esempio e con i bianchi fiori
attingon l’acque d’or, ridendo forte.
20Tutte, in un tempo, bevono a ’l lucente
vespero, inebriate,
quasi Bacco le linfe abbia cangiate
in vin di Scio, da’ regni de la morte.
Suonano a torno i lieti ribechini.

25Così tu vai, piacente Primavera,
navigando ne ’l vespero, per l’almo
fiume onde Amore sorse;
e i gigli tratti dietro il paliscalmo
vestono forme, ne la dubbia sera.
30Non calano da’ rotti argini forse
le ninfe a ’l Latamone?
Questa, piena di donne e di canzone,
non è l’isola bella di Citera?
Non sei tu dunque iddia ne’ tuoi domini?

35Questa è l’isola bella: non la tiene
però Venere. Isotta ha signoria,
Isotta Biancamano,
su la verde Brolangia solatìa
ove reìne clementi e serene
40vissero a lungo, in tempo assai lontano,