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116 Gabriele d’Annunzio


— Non io te ’l coglierò, ma te medesima
leverò, fino a giugnere
il ramo, su le mie braccia, o dolcissima
Ebe. - Ed ella: - Or tu lévami

su le tue braccia. - Ed io la levo, a giugnere
il buon frutto che penzola
ed alletta, si come ne la favola
antica del re Tantalo.

Ergesi il corpo d’Ebe, quale un’anfora,
da la mia stretta; e l’avide
mani ella tende a ’l ramo, in attitudine
bellissima; ed ai cúbiti

nudati le sorridono due rosei
cavi, due nidi rosei,
ove, meglio che a ’l frutto, io vorrei mordere,
me’ che a l’inarrivabile

frutto. - Ancora! - ella grida - Ancora! Un ultimo
sforzo, ed ha vinto Tantalo! -
Ond’io più l’alzo; e più ne ’l desiderio
ardo, sentendo il palpito

de le sue membra. Grida ella: - Vittoria! -
E, d’un salto, si libera
da le mie braccia e fugge, abbandonandomi.
- Vittoria! - li orti echeggiano.