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le vergini 77

Ella faceva le cose per abitudine, con de’ gesti di sonnambula, con una lentezza di donna stanca. Nella scuola, se veniva su’l vento l’odore del pane caldo dal forno, ella si sentiva morire, sentiva come tutte le viscere montarle d’un tratto alla bocca: un sapore di lisciva le si spandeva nella lingua. Un giorno, mentre un bimbo succhiava delle ciliege, una voglia violenta di quel frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire e sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di nausea, si metteva lunga su’l letto, si lasciava occupare dal sopore: il caldo era pesante, le mosche ronzavano, le grida d’un venditore di occhiali passavano sotto la finestra, rauche nel silenzio.

Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l’incenso anche la ributtava.

Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più, non ebbe di lui che un ricordo incerto, come d’un sogno remoto: l’ansia presente l’assorbiva tutta.

Lindoro saliva a portar l’acqua, come prima. Egli giungeva sù rosso e stillante di sudore; posava le conche, lanciando sguardi di sbieco a Giuliana. Giuliana si ritirava nell’altra stanza o si curvava su’l lavoro: nelle sue guance le strette convulse dei denti mettevano piccoli moti di collera repressa; i suoi occhi si intorbidavano. Lindoro se ne andava, come un cane frustato; ma il pensiero di aver pos-