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le vergini 65

lestavano e la richiamavano alla realità delle cose. Ella non sapeva più sfuggire: le moriva la voce fra i denti, l’angoscia le sollecitava la gola, il fantasma di qualche cosa d’enorme e d’irrimediabile le si drizzava dinanzi. Ella ora si sentiva morire dalla fatica di reggersi in piedi, di mettere i passi: si sentiva percossa dalla fischiante animazione della vita nella strada che è di tutti.

— Dunque, comare mia, quel guercio del marito senza saper nulla di nulla... — diceva Teodora riannodando la maldicenza interrotta.

Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli, su la sinistra, cavalcava il fiume. Dall’altro lato, la mole cupa e grave del bastione si disegnava nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro, piantati con la bocca nel terreno, si dilungavano in fila trattenendo le gómene; grandi áncore di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a riva, i marinari sotto le tende mangiavano e fumavano: le tende illuminate contrastavano con un rossore sanguigno l’albore della luna. Intorno alle proe, su l’acqua larghe chiazze come di materia liquefatta fluttuavano lentamente.

— ..... mandò a chiamare Don Neréo Memma, figuratevi! seguitava Teodora, implacabile.

— Chi parla del dottor Dulcamara? — fece Don Paolo, a cui era giunto quel nome, ridendo dalla franca bocca ancora armata di avorii.