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le vergini 55

bile, per l’immenso sforzo interiore di dissimulazione.

Poi, quando Camilla usciva, ella si agitava per tutte le stanze, moveva le sedie, morsicchiava dei fiori, beveva d’un fiato de’grandi bicchieri d’acqua, si guardava nello specchio, si affacciava alla finestra, si abbatteva a traverso il letto, sfogava in mille modi l’irrequietudine, l’esuberanza della vitalità sensuale. Tutto il suo corpo, nel tardivo fermento della verginità, si era arricchito ed espanto; era come una di quelle sanguigne fioriture autunnali che la pianta esplode al sentirsi da un’ultima corrente di forza vegetativa investir le radici quasi morte nel letargo del terreno. Tutti i pori del suo corpo esalavano, irradiavano la voluttà mal contenuta; in tutti i suoi gesti, in tutti i suoi atteggiamenti, in tutti i suoi minimi moti uno spontaneo fascino afrodisiaco, una procacità involontaria e inconscia si esplicava indipendentemente dalla presenza di un uomo. Ella era tutta sátura di désio: le fibrille giallognole delle sue iridi, dilatandosi, sprizzavano bagliori; il labbro inferiore, tormentato dalle morsicchiature, sporgeva umido e più vermiglio; pe ’l collo salivano le trame glauche delle vene e nei movimenti repentini talora certi gruppi di nervi guizzavano. La sua testa non era bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore