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le vergini | 51 |
stione di Sant’Agostino una popolarità grande s’era fatta in torno a questo nome. Nasceva costui dall’accoppiamento d’un suonatore ambulante di clarinetto con una piazzaiuola rivenditrice di fruttaglia, ereditando l’istinto nomade del padre e la natural cupidigia di lucro della madre. S’era prima strascicato per li immondezzai di tutte le case, con la scopa e il canestro; aveva poi fatto il guattero in una bettola, dove soldati e marinai gli gettavano su’l viso li sgoccioli del bicchiere e le spine del pesce mal fritto. Dalla bettola era caduto in un forno, dove spingeva i pani con la lunga pala dentro le fiamme, tutta la notte, in sudore, accecandosi. Dal forno era passato all’uffizio di accenditore pubblico de’ fanali, logorandosi una spalla sotto il peso della scala portatile. Scacciato da quell’uffizio perchè sottraeva il petrolio dalle grandi casse di zinco bianco, si mise alla ventura della strada, comprando e rivendendo abiti vecchi, facendo in tutte le case popolane i servigi più vili, offrendo ai soldati e ai forestieri i suoi ruffianesimi, lottando così per il tozzo.
Nel suo corpo e nella sua anima ogni mestiere aveva impresso una traccia, aveva lasciato un gesto abituale, uno sviluppo di singoli muscoli, l’indebolimento di un organo, una callosità, una cadenza di voce, una frase del gergo. Egli era di