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VII.
L’ultima stanza della casa era stretta e bassa, con le travi del soffitto annerite dal fumo, piena d’un lezzo di cipolle, di rigovernatura e di carbone spento. I vasi di rame pendevano alla parete in ordine, senza luccichìo; i piatti di Castelli stavano in ordine su la mensola con le loro gioconde pitture di fiori, di uccelli e di teste d’uomini; le antiche lucerne di ottone, le bottiglie vuote, le foglie di erbaggio non più fresche erano sparpagliate per le tavole; e su tutto dominava proteggitore San Vincenzo effigiato con il gran libro in una mano e la fiamma rossa in mezzo al cranio.
Là, nel vecchio tempo, Giuliana stando in mezzo ai vapori dell’acqua bollente e alle esalazioni dei cibi vegetali, spesso aveva sentito giungersi su’l capo dalla piccola finestra alta i ritornelli d’una canzone libertina e certi larghi schiamazzi di risa che s’inseguivano. I canti e le risa crescevano nelle sere di estate, tra i passagalli delle chitarre, fra li urti della danza su’l terreno. Tutti i romori della vita d’una suburra infima salivano,