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32 | il libro delle vergini |
provviso di tutto il suo sangue; Giuliana li chiamava a sè, confondeva i loro nomi che le si affollavano alle labbra, tendeva loro le mani. A uno, a due, a tre, i bimbi si avanzavano, volevano prenderle le mani per metterci la bocca sopra, ridicevano le parole di augurio imparate a casa, ingoiando per la furia le sillabe.
— No, no, non più! — esclamava Giuliana, sopraffatta, ma abbandonando le mani a quelle bocche tiepide e molli. Si sentiva quasi mancare.
— Camilla, tienili, tienili.
Ogni bimbo recava un dono: erano fiori, erano frutta. Le violette avevano subito sparso il profumo nell’aria, e in quel profumo, in quella luce tutte quelle faccie infantili invermigliate dal buon sangue plebeo sorridevano.
Poi la scuola, nell’altra stanza, cominciò. La prima classe diceva a voce alta le vocali e i dittonghi, la seconda sillabava; e su quel coro chiarissimo a tratti si levava l’ammonimento di Camilla.
— La, le, li, lo, lu...
Nelli intervalli di silenzio, si udiva Matteo Puriello picchiare su le suola o il telaio della Jece sbattere.
— Va, ve, vi, vo, vu...
Allora il fastidio oppresse Giuliana. La monotonia de’ rumori e delle voci le dava al capo una pesantezza ingrata, le conciliava il sonno, mentre