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le vergini | 13 |
suole precedere li avvenimenti supremi, un silenzio dove il respiro dell’inferma e i gesticolamenti incerti e le irruzioni rauche della tosse bronchiale acquistavano una specie di solennità fúnebre. Dalle finestre aperte entrava l’aria pura ed uscivano le esalazioni della malattia. Un vivo bagliore bianco si rinfrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i capitelli corintii dell’arco di Portanova: una efflorescenza cristallina di ghiaccioli scintillava d’iridi all’altezza della stanza. Nell’interno, su le pareti, pendevano grandi medaglie sacre d’ottone; pendevano imagini di santi. Sotto un vetro una Madonna di Loreto tutta nera il volto il seno le braccia, come un idolo barbarico, emergeva glorificata dalla veste d’oro ove le mezze lune salivano. In un angolo, un piccolo altare candido sorgeva con un vecchio Gesù di avorio su una croce intarsiata di madreperla, con due boccali turchini di Castelli pieni d’erbe aromatiche.
Camilla, la sorella, l’unica parente, al letto, pallidissima, tergeva le labbra nerastre e i denti incrostati dell’inferma con un lino umido di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto, guardava il pomo d’argento della bella mazza, le belle corniole incise ch’egli aveva nelli anelli delle dita, aspettando. Teodora La Jece, una tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta nell’atteggiare