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ad altare dei 169

mento. Una mano che faceva pensare alla palma pellosa dell’anatra.

Entrammo nella chiesa io e Giacinta tra la folla. I contadini ossequenti ci lasciavano passare nella graveolenza dell’olio ch’essi portavan lucido ai capelli. Giungemmo nel mezzo; dove cominciava, digradando verso l’altare, la mèsse delle cristiane inginocchiate, una gran mèsse varia di teste coperte dai fazzoletti di seta gialli, rossi, neri, a palle, a striscie, a fiorami. L’altare sorgeva in fondo tutto fiammeggiante di ceri votivi, i cui raggi si rinfrangevano su le palme di zinco sottoposte, su le dorature false della custodia, su i fiori artificiali di fil d’argento e di lana. Presso l’altare, da una eminenza la Vergine sovrastava alla turba dei fedeli; la Regina delle Vergini, tutta bella nella veste di raso azzurro a ricami d’oro, tutta gloriosa nel diadema di metallo bianco a grosse pietre gemmanti, tutta illuminata dall’adorazione di quelle anime peccatrici che supplicavano il perdono.

Io e Giacinta eravamo rimasti in piedi, stretti l’uno contro l’altra dalla pressione della folla, silenziosi, guardando. Nell’aria, già fatta tepida da tanti aliti umani, in mezzo alle esalazioni della turba nuotavano li odori acuti delle giunchiglie, delle viole e del rosmarino. Un chiarore cupo scendeva dalle finestre semilunari coperte di tende rosse.

12 - Il libro delle vergini.