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ad altare dei 167


Giacinta pregava: vedevo le sue labbra muoversi al proferire sommesso delle sillabe. Io la guardavo. Ella non era veramente bella, di una bellezza pura; nel sorriso la bocca le si allargava salendo ai lati verso i lobi delli orecchi, ma i denti avevano una nitidezza gemmea; li occhi avevano l’iride piccola e il globo grande addolcito da quella tinta lieve d’indaco che è comune nei bambini. Così mi piaceva. Già ella aveva messo nella mia puerizia vergine un turbamento, qualche cosa che somigliava un germe d’amore. Ella usciva dai sedici anni, donna.

E dopo un momento disse: - Andiamo verso la chiesa.

Camminavamo al fianco, pe’l sentiero, rompendo a pena con qualche parola il silenzio. Da un lato si stendevano le vigne morte coi tralci rossi che aspettavano i tagli del ronco, poichè presentivano la primavera; dall’altro lato si allungavano i solchi di grano nell’infanzia verde e gentile. Quando sboccammo su la strada di Chieti, un branco di pecore ci guardò passare: le mansuete bestie nere e bianche stavano con la testa alta, con li orecchi rosei contro la luce, su l’erbe corte, nell’idillio mattinale; e due o tre poppanti cercavano irrequietamente i capézzoli tra le zampe delle madri.

Giacinta sorrise quasi teneramente, volgendosi; ella era pia.