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nell'assenza di lanciotto | 157 |
braccia il piccolo corpo inerte di Eva. Andavano così sù per le scale: Francesca innanzi, Gustavo dietro. La testa della bimba pendeva da una parte, mostrando la gola molle, lasciando piovere le chiome.
Nella stanza ardeva una lampada, in mezzo alla vôlta, con una illuminazione quasi lunare. Dalli abiti, dalle biancherie, da ogni angolo esalavano i profumi e nuotavano nell’aria.
— Mettetela su ’l letto, là, in quello.
Gustavo adagiò la bimba. Già gli tremavano le braccia: egli sentiva il profumo che una volta l’aveva fatto trasalire. Francesca stava china su la figlia, la guardava dormire, aspettando che Gustavo parlasse.
Egli non parlò; la prese per le braccia d’improvviso, le mise la bocca su la nuca dove due o tre piccoli riccioli erano bianchi di cipria. Aveva nelli occhi quel luccicore cupo, nella faccia quell’ardore cupo che Francesca riconosceva. Ma Francesca non voleva questo; la offendevano le violenze.
— No, no, Gustavo. Andate — disse ella, seria, riavviandosi i capelli su la nuca. — Siate savio.
Allora in lui tutta l’onda contenuta della passione irruppe. — Egli l’amava, egli l’amava! Egli sentiva d’impazzire. Lo lasciasse almeno restare un’ora là, inginocchiato su ’l tappeto, in quella stanza, in quell’odore! Egli non chiedeva niente più: fosse buona!
— No, andate. Si sveglierà Eva.