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138 | il libro delle vergini |
schioccare le dita, dando quel richiamo squillante all’aria. Gustavo le fu presso quando ella già stava china su’l cane serrandone il lungo muso tra le mani carezzevoli: bellissima, nella veste mattinale a pieghe ricche dentro cui s’indovinava la flessibilità del corpo vivo, con i capelli dalla nuca tirati sù, e stretti in un nodo su’l sommo della testa come in certi ritratti settecentisti, così curva su l’animale che supino agitava le zampe sottili e nervose verso di lei, mostrando il ventre smilzo color di carne.
— Buon giorno, signora.
— Oh Gustavo, buon giorno! - rispose ella drizzandosi con un movimento vivace, leggermente colorita nella faccia dall’essere stata china. E mentre gli tendeva la mano, lo guardò curiosamente socchiudendo gli occhi: poichè ella dal letto s’era levata con la sua bella serenità. Poi alterando per gioco la voce, soggiunse.
— D’onde venite, o signore?
Gustavo capì e sorrise: egli non l’aveva chiamata a nome nel saluto per una debole trepidazione di fanciullo; ora si pentiva, voleva parlare sicuramente, dire molte cose.
— Di lontano, Francesca. Sono uscito all’alba, ho condotto meco Famulus. L’aria frizzava. Abbiamo preso per i campi, abbiamo attraversato la pineta...