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nell'assenza di lanciotto | 137 |
III.
La mattina dopo, tornava Gustavo lentamente giù pe ’l viale, insieme con Famulus il gran cane niveo che lo seguiva con quel dondolamento di danza così molle ed elegante nei levrieri. Era una di quelle mattine verginali della primavera che nasce, in cui la campagna ha come un’indolenza di convalescente nello svegliarsi. Qualche cosa di latteo, un chiarore chiarissimo vagava su ’l verde, sotto li alberi; e su quella massa il sole metteva una radiosità tra bionda e rosea, una trepidazione indistinta. La vecchia terra d’Abruzzi ora s’inteneriva.
Lontano, in fondo al viale, su ’l cupo verde delli aranci, Gustavo scorgeva una macchia bianca simile a quelle che le statue fanno nei giardini. Ma, acuendo egli lo sguardo, il cane gli si spiccò dal fianco, quasi avesse odorata la preda, con quelli stupendi slanci di antilope in corsa.
— Famulus, qua! Famulus!
Era la voce di Francesca, tra le piante. Ella ritta aspettava che il levriero la raggiungesse, facendo
10 — Il libro delle vergini.