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tro i colli, su’l cielo vivo, il profilo di Montecorno, quella figura dolce di dea supina che sotto la neve pare una immensa statua di marmo abbattuta lungo la terra d’Abruzzi, la protettrice della vecchia patria, che i marinai dalla costa salutano con effusione d’amore come un giorno i nauti del Pireo salutavano l’asta di Atena. Sotto l’altra finestra si riscaldava ai buoni soli una fila di aranci.

E i giorni passavano. Valerio lontano non sarebbe tornato che fra due, fra tre mesi forse. Dal letto dell’inferma si diffondeva per tutta la casa il silenzio: era quella soffocazione o attenuazione di tutti i rumori, di tutte le voci che si fa in torno ai malati per non disturbarne il riposo. Il medico, un piccolo uomo dalla faccia tutta rasa, quasi lucida, veniva ogni sera, poco prima del tramonto, alla stessa ora. Nella stanza cominciavano le ombre, rotte talvolta da un ultimo bagliore che dalla finestra di mezzo entrava a sfiorare il letto: un domestico portava il lume coperto da una gran ventola verde. Quando il medico era uscito, restavano nella stanza Gustavo e Francesca, seduti accanto al letto, silenziosi, dominati da quella luce eguale, ascoltando le voci fievoli che mandava la campagna nel lontano. Eva piegava la testa nella gravezza del sonno, inondando le ginocchia della madre con i capelli di sotto a cui usciva il respiro, senza che si vedesse