Pagina:D'Annunzio - Il libro delle vergini.djvu/122


favola sentimentale 117

Dunque ella sarebbe stata infedele alla sua povera morta?

— O mamma! o mamma! - singhiozzò allora, affranta, torcendosi le braccia, nascondendo tra i cuscini la faccia riarsa dalle lacrime.

A poco a poco quel dolore cedette; sorgeva una passione più umana, sorgeva uno strazio più umano. Le risa di Vinca parea vibrassero ancora nella vuota sonorità della volta. Era là Vinca dianzi, abbandonata su quel divano, tutta odorosa e luminosa. Cesare la involgeva tutta del suo sguardo avido: egli non aveva mai avuto quel luccicore nelle pupille, mai. Erano andati soli, nel viale, la giù, sotto li alberi, soli.

Ella si tormentava così, da se stessa; aspettando. — Povera Galatea, come ti sarai tediata! - disse Vinca accarezzandole i capelli, insinuandole fra le ciocche le dita gemmanti di anelli. - Ma tu ardi, Galatea... Sentite, Conte; ha la febbre.

— No, non ho nulla, babbo; nulla.

Ed ella teneva fitti li occhi su Cesare, li occhi ardenti nel mortale pallore del viso. Poi si passò una mano su la fronte: provava uno sfinimento, un affievolimento, per tutto il corpo, un freddo sottile sottile.

— Ho tanto sonno; mi pesa tanto il capo.... Ma la febbre no! Sento che dormirei tanto tanto — su-