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114 | il libro delle vergini |
Erano dinanzi a una grande vasca solitaria. Su le acque inerti galleggiavano chiazze giallastre di putredine e certe foglie rossigne di cuoio si stendevano in greggia presso alli orli erbosi. Nel mezzo, un gruppo di tritoni dalle code di pesce invigilava que’ silenzii che non più lo scroscio delli zampilli rompeva, da tempo: su la vecchia pietra i muschi e i licheni facevano come un manto tigrato; alla base le borracine si allungavano in verdi filamenti.
— Sediamo qui — disse Cesare, scoprendo un pezzo di rude bassorilievo atterrato fra le erbe. Egli si sentiva inquieto, mentre Vinca sedendo lo guardava con i vivi occhi pieni di misericordia.
— Qui, ai miei piedi, o Cesare - ella impose, con un tono scherzevole d’imperio.
— No, mai.
— Qui, ai miei piedi - ripetè.
— Eccomi, Vinca; tu vinci.
Facevano così, per gioco. Ma Cesare co’l capo quasi le toccava i ginocchi; ed ella vedeva la nuca bianca del giovane, una nuca di Antinoo modellata squisitamente.
— Guardate, Cesare, le farfalle che cadono.
Ella indicava le foglie pioventi a una a una su le acque; ella voleva parlare, cominciava a temere il silenzio, cominciava a perdere l’arguzia a poco a poco. Non aveva soputo dire che quella frase,