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108 | il libro delle vergini |
lante e cinguettante, con un adorabile brillìo di erre. Contro li erre l’onda fresca della voce pareva che si frangesse e s’increspasse.
— Sempre qui, sempre qui, Galatea? Non vorrai mai rompere il tuo cerchio magico, dunque? Ve la rapirò, conte, ve la rapirò questa vostra Jolanda dalli occhi pensosi... Ma tu hai proprio due smeraldi per occhi, Galatea! Perchè mi guardi così? Ti piaccio?...
E s’impazientiva nel togliersi i lunghi guanti di camoscio nero che le serravano le braccia fino al gomito.
— Andiamo. Conducimi.
A quell’irrompere improvviso di allegria li echi della sala si svegliavano, le sonorità cupe delle vôlte fremevano: un solco di profumo seguiva il fruscìo di Vinca sopra i pavimenti di mosaico antico, a traverso le stanze piene di legno scolpito e di tappezzerie sfiorenti.
Accanto a quella donna, Galatea prima si sentì sorpresa come da uno stordimento; poi come una irritazione sorda l’assaliva contro quella mobilità nervosa, contro quelle onde acri di odore che a lei davano la nausea, contro quelli scoppî di risa che a lei ferivano i timpani acutamente. Ella avrebbe voluto ribellarsi a certe furie di baci, a certe carezze vivaci, a certe lusinghe svenevoli.