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favola sentimentale 107

Rimini e di Livorno. Egli mostrò a Cesare una lettera azzurrina stemmata in oro.

— Leggi — disse.

Cesare la prese; e l’odore acuto emanante dal foglio gli mise nell’anima un turbamento strano, gli suscitò come una inquietudine. Pe’l foglio saliva una volata di piccole cicogne bianche, e fra le cicogne i caratteri piccoli e nervosi s’incalzavano in violetto, squisitamente.

— Quando arriverà? — chiese Galatea.

— Domani.

Giunse, in fatti. Ella era una ben giovine zia, una splendida figura di andalusa dalle nerissime iridi piene di desiderii e di misterii.

— Oh, mia bella bionda! oh, mia bella bambola bionda! — esclamava, stringendo fra le braccia Galatea, sconvolgendole i capelli su la fronte, tormentandola di baci.

— E voi, Cesare? Anche voi siete qui, nel castello solitario, paggio, trovatore, cavaliere... come?

E rideva in certi piccoli tintinni di cristalli e di metalli vibranti, piegando il capo in dietro, mentre le gengive rosee le si scoprivano un po’ crudelmente e il petto le sussultava sotto la corazza di raso.

— Non temete gl’incantesimi, Cesare?

Ella era così; parlava con una volubilità petu-