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ossidato. Ella aveva cinte le braccia alla sfera; le larghe maniche lasciavano scoperte la carne bianca e diafana che trame di vene fiorivano.

Cesare guardava, pensando alle Norne scandinave e alle vergini merovinghe; quando ella si destò pel ferire del sole e gli sorrise viva dalle iridi ove il fulgore novo e il torpore del sonno e la meraviglia per un istante pugnarono.

— Perchè vi destate, Galatea? Siete così bella nel sonno! — disse egli con un accento ingenuo di ammirazione.

Ella gli sorrise ancora, annodandosi i capelli: la guancia destra era suffusa di vermiglio, dal premere sulla sfera.

Ma quel germe d’idillio rimase chiuso in un sonetto, per sempre, come un fiore o una farfalla nella nitida prigione dell’ambra.


III.


Un giorno il conte, prima del pranzo, annunziò la venuta della baronessa De Rosa, seconda moglie del fratello Federico, reduce dai trionfi estivi di