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102 | il libro delle vergini |
— Era bionda; è vero? bionda come me; è vero? chiedeva al padre, sollevando li occhi umidi, tentando fra la tenerezza delle lacrime un lampo di sorriso.
Ella era cresciuta così, nel dolore. Ella aveva in sè qualche cosa di quelle piante bianche, vissute al buio, che sembrano germogliare dal morbo di un corpo umano e ombreggiano della loro tristezza i sepolcri. Il gran sole, la gran luce la fastidivano: ella socchiudeva le lunghe ciglia, ella difendeva dalla ferita que’ poveri occhi infermi. Pure, amava i fiori. Dietro la villa, in un pezzo di terreno, una vegetazione malaticcia e pingue sonnecchiava nell’ombra: erano grosse foglie carnose di un bruno tendente al violetto, cosparse di pelurie come di una muffa; erano ramificazioni nane, ignude, simili a rettili morti o a bruchi enormi; erano lame piatte di un verde pallido, rigate di bianco e macchiate come dorsi di rane. Certi grandi fiori paonazzi si aprivano a coppa, sorgevano da terra su lunghi tubi, senza fogliame; certi calici di un roseo di pelle umana si gonfiavano su li steli contorti; certe bocche di uno scarlatto cupo emettevano stami simili a piccole lingue giallicce. I petali avevano come il viscidume dei funghi, gl’involucri sparsi di cavità erano favi di cera. Qualche tulipano si schiudeva pigramente in una striscia