Pagina:Cuore infermo.djvu/90

90 Cuore infermo

— Non è così che devi dirmelo...

— Ma come vuoi che io te lo dica?

— Non vi è più affetto nella tua voce che nel tuo cuore, Beatrice. Io combatto ogni ora con la tua indifferenza, io spreco il mio amore, la mia devozione per riscaldare il tuo freddo cuore.... Io ti prego, io mi umilio innanzi a te, come il cristiano alla Madonna; ma che vuoi tu che io faccia? Qual donna sei dunque tu?....

— Taci, Marcello, taci — mormorò con voce strozzata la duchessa.

Si era fatta pallidissima. Le mani prosciolte, tremavano lievemente; il corpo si abbandonava sulla spalliera del divano; gli occhi socchiusi, così rivolti al cielo, che a momenti le pupille scomparivano, vedendosi solo il bianco della cornea.

— Che hai tu, Beatrice, che hai? Ti senti male? Sono io che ti fo male?

— Nulla, nulla — disse ella, rimettendosi. — Non sei tu, è la stanchezza.

Egli rimase esitante, guardandola ancora; quell’istante di commozione che ella aveva provato, avea calmato il suo impeto. Pure egli sentiva che quella notte era decisiva e volle andare sino in fondo.

— Ascoltami — le disse, sedendo di nuovo accanto a lei, parlando lentamente — e procura d’intendermi più che io non dica. Tu credi che il nostro matrimonio sia stato fatto dal caso, dalle convenienze scambievoli di due famiglie. T’inganni. Io t’amo, ti ho sposata per amore, sperando di ottenere il tuo. Non mi è riuscito e ciò getta lo scompiglio nell’animo mio. Sono un sognatore, forse; forse ho delle pretese ridicole; se qualcuno sapesse dei fatti miei, mi terrebbe degno di una sprezzante pietà. Ma non si cangia la mia natura, ma non si muta il profondo amore che ne è l’essenza.